Rabbia e Speranza

Sono i due sentimenti che in questi ultimi tempi sono presenti nella società mondiale. Da un lato la rabbia per le ingiustizie subite o percepite tali, dall’altro l’aspirazione di un ravvedimento da parte del potere globale capace di dare senso etico ai mali che si stanno consumando in materia di razzismo, di xenofobia, di disuguaglianza sociale, di povertà, di lavoro, di ambiente.

E’ bastata la morte dell’afroamericano George Floyd a Minneapolis da parte di una pattuglia della polizia per accendere la protesta che, a macchia d’olio, s’è sviluppata a livello mondiale.

Sono infatti le diverse tematiche sociali come il lavoro, l’ambiente, la giustizia e la sicurezza, la migrazione, i diritti civili come libertà di pensiero, di espressione, di associazione e di stampa che attanagliano la comunità mondiale di fronte ad un potere politico incapace di dare una svolta significativa, in senso egualitario, all’intera popolazione del pianeta, che alimentano il senso di rabbia e quindi la ribellione.

La speranza è infatti la ricerca di una normativa capace di regolare in modo nuovo e diverso il rapporto tra gli uomini ed i diversi poteri che governano il mondo da quello economico e finanziario a quello ambientale, da quello spirituale a quello politico.

I diversi conflitti di guerra, all’incirca 25 dislocati tra Africa, Asia, America, il fenomeno della povertà causata in parte dalla mancanza di lavoro e da tutte quelle prerogative che vanno dall’abitazione all’istruzione, dai servizi socio sanitari alla giustizia sociale, dall’emarginazione sociale alla disponibilità finanziaria di ciascuno, dalla cultura all’istruzione, ma anche i pregiudizi razziali, il degrado ambientale, che causa malattie e trasformazioni climatiche, ecc. diventano quei tanti tizzoni ardenti che, chi più e chi meno, vanno ad alimentare la rabbia che, a sua volta, si trasforma in odio e violenza sociale.

Tutto ciò comporta una riflessione e conseguentemente la formulazione di alcune considerazioni.

La riflessione è che il costrutto sociale non scaturisce solo ed esclusivamente dall’appartenenza etnica ma deriva dalla natura stessa dell’uomo che trova nel pregiudizio o nello stereotipo socio culturale, politico, religioso od economico quella negatività di giudizio che si tramuta in ostilità nei confronti dell’altro.

Le considerazioni invece sono diverse e si muovono su questioni di tipo culturale e su un ambito di consapevolezza che deve trovare nell’uomo stesso quel terreno fertile per ideare e costruire una progettazione idonea a coinvolgere più soggetti possibili attraverso idee nuove, realistiche e soprattutto operose.

La prima cosa da fare è annullare quella circolarità attualmente esistente tra i media ed il politico di turno finalizzata solo ed esclusivamente per attrarre consenso. Tutto ciò risulta possibile solo in presenza di una normativa che sanzioni quelle espressioni di razzismo e di xenofobia in modo serio e duraturo.

Altra cosa da fare è sviluppare, non solamente sul piano teorico ma soprattutto su quello pratico, un modello culturale capace di infondere in ciascuno l’idea di fratellanza, di amore e di rispetto per l’altro.

Dal punto di vista economico è necessario ricondurre la produttività d’impresa e l’uso dei beni naturali ad una forma nuova di compartecipazione consapevole sull’uso dei beni, della tecnologia e della ricchezza in generale in modo tale da ricavarne un più giusto ed equo vantaggio collettivo sul loro utilizzo.

Scopo finale infatti è la creazione di un valore economico collettivo più equo e più giusto tale da premiare sì l’ingegnosità e l’intraprendenza imprenditoriale ma anche il lavoro e la giustizia sociale per quei soggetti che, per motivi diversi, non sono in grado di concorrere nello stesso modo allo sviluppo economico globale.

Su tutto ciò è necessario non solo creare una forma di coscienza sociale globale ma soprattutto avere una costanza che vada al di là del puro e semplice contesto delittuoso del momento.

Diventano così speranza i comportamenti dei poliziotti del Queens a New York che si inginocchiano insieme ai manifestanti o il comportamento dello sceriffo della contea di Genesee a Flint, in Michigan, che si unisce ai manifestanti togliendosi l’elmetto ed il manganello, o il diniego del Ministro della Difesa USA, Mark Esper, cui il Pentagono fa capo, che si rifiuta di usare le truppe in servizio attivo per reprimere la protesta.

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